Cell 211. L'unione fra il prison movie e l'azione che sfocia in dramma.
Cell 211 dimostra a pieno il talento smisurato dei registi spagnoli,che riescono ad emergere con delle prove talentuose e ricche di fascino.
Daniel Monzón riesce ad intrecciare l'azione al drammatico ambientando il film interamente in un carcere.
Juan è felicemente sposato e sta per diventare padre. Per fare una buona impressione sul nuovo posto di lavoro da guardia carceraria,decide di presentarsi un giorno prima. Neanche a farlo apposta,durante un giro di perlustrazione nel braccio di massima sicurezza,all'esterno scoppia una rivolta dei detenuti e, in seguito ad un esplosione,Juan viene colpito alla testa da un pezzo di parete del soffitto. Privo di conoscenza viene disteso dai secondini nel letto di una cella libera,la 211. Quando però la situazione peggiora,presi dal panico,le guardie abbandonano il carcere, lasciando la giovane recluta in cella.
Fortunatamente,quando riprende conoscenza, Juan realizza che si trova in una situazione critica,circondato dai detenuti della peggio specie,l'unica alternativa rimasta resta quella di fingere di essere uno di loro.
Più facile a dirsi che a farsi. Riuscire a dimostrare di essere appena stato trasferito nel carcere come prigioniero,e guadagnarsi la fiducia del leader dei detenuti,noto col nome di Malamadre,diventa ogni minuto che passa un impresa impossibile. A questo punto Juan dovrà giocarsi tutti gli assi a sua disposizione con astuzia e la massima attenzione. Un passo falso nel carcere oramai fuori controllo gli costerebbe la vita.
Un continuo di suspance e parecchio movimento fanno si che lo spettatore non distolga occhi e orecchie dallo schermo.
Complimenti a Daniel Manzón e alla Spagna in generale,che continua a sfornare perle su perle.
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